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Cosa cambia con la CSRD per le aziende di Logistica e Trasporti?

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CSRD: la nuova frontiera della sostenibilità e le implicazioni per la logistica

La sostenibilità non è più solo un fattore di competitività, ma un vero e proprio obbligo che coinvolge un numero sempre più ampio di aziende. Con l’entrata in vigore del decreto 125 pubblicato in gazzetta ufficiale a Settembre 2024 detto CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), l’Unione Europea ha voluto dare un forte segnale: la rendicontazione di sostenibilità diventa fondamentale tanto quanto il bilancio civilistico. Stiamo passando, infatti, da circa 11.000 imprese soggette alla precedente NFRD (Non-Financial Reporting Directive) a quasi 50.000 aziende che dovranno adeguarsi ai nuovi standard, salvo modifiche previste (e per molti auspicate) da un intervento “Omnibus” al vaglio dei comitati tecnici della nuova commissione europea, che potrebbe ridurre la platea di aziende coinvolte e introdurre altre semplificazioni rispetto al testo attuale, senza però far venir meno gli aspetti fondamentali inclusi nella direttiva.

Questa normativa avrà un impatto trasversale su molti settori, ma la logistica si conferma uno snodo cruciale, soprattutto per quanto riguarda gli impatti sul cambiamento climatico e le iniziative di mitigazione che passano attraverso la misurazione e rendicontazione dei consumi energetici e quindi delle emissioni di CO2eq (GHG) conseguenti alla gestione di processi di trasporto e logistica nella catena del valore (fornitori) ma non solo.

Il salto dalla NFRD alla CSRD

Nel 2016 la NFRD (Non Financial Reporting Directive) aveva già introdotto delle regole specifiche per la rendicontazione ESG nelle aziende rilevanti (quotate e in settori specifici).

La differenza tra le due direttive è notevole: se la NFRD delineava alcuni criteri di rendicontazione non finanziaria, la nuova CSRD stabilisce obblighi decisamente più stringenti. I report di sostenibilità, infatti, dovranno essere:

  • Sottoposti a revisione di terza parte indipendente, al pari di un bilancio civilistico.
  • Integrati all’interno della relazione sulla gestione, in formato XHTML con marcatura XBRL.

Il requisito di “doppia materialità” o “doppia rilevanza” introduce inoltre la necessità di esaminare gli impatti ambientali e sociali (materialità “inside-out”) e di valutare rischi e opportunità per l’azienda dal punto di vista finanziario (materialità “outside-in”). In pratica, non basta più pubblicare dati generici: occorre fornire informazioni concrete su come questi impatti influiscano sugli obiettivi strategici dell’impresa.

Altre differenze sostanziali riguardano l’utilizzo di uno standard uguale per tutti (ESRS - European Sustainability Reporting Standard) creato dall’ente EFRAG e l’introduzione di requisiti minimi di rendicontazione (obbligatori) con l’obbligo altresì di coinvolgere i portatori di interessi per fare emergere le tematiche materiali. Aspetti anche questi su cui potrebbero esserci novità con il pacchetto “omnibus” in discussione a Bruxelles.

Perché la logistica è al centro di questo cambiamento

La logistica, con i suoi mezzi di trasporto e la complessità delle operazioni di stoccaggio e movimentazione, genera una parte rilevante delle emissioni di GHG a livello europeo e mondiale (in italia si stima che i trasporti impattino per il 26,6% delle emissioni totali - fonte ISPRA https://indicatoriambientali.isprambiente.it/it/trasporti/emissioni-di-gas-serra-dai-trasporti). Se consideriamo che la CSRD richiede sempre maggiore trasparenza su tutto il ciclo di vita del prodotto o del servizio offerto, ecco che diventa fondamentale coinvolgere anche i partner logistici ed essere in grado di tracciare le proprie emissioni indirette di GHG, le cosidette emissioni scope 3.

Le aziende obbligate a redigere il report di sostenibilità dovranno quindi:

  • Monitorare e tracciare dati sui consumi energetici e quindi sulle emissioni prodotte in fase di trasporto e distribuzione.
  • Verificare che i fornitori e i sub-fornitori (ad esempio i corrieri, trasportatori ed eventuali padroncini) adottino a loro volta buone pratiche sostenibili e siano in grado di rendicontarle.
  • Investire in strumenti digitali (piattaforme di gestione e rendicontazione ESG) per raccogliere dati in modo organizzato, verificabile e coerente sia con il bilancio civilistico sia con gli standard ESRS (European Sustainability Reporting Standards).

Quali sono le maggiori novità per le imprese

  1. Obblighi di rendicontazione estesi

La platea di aziende che dovranno pubblicare un bilancio di sostenibilità certificato si allargherà notevolmente anche considerando possibili semplificazioni “omnibus”. Non solo le grandi imprese già coinvolte dalla NFRD, ma anche PMI quotate, Grandi imprese non quotate, enti creditizi di piccole dimensioni e aziende non europee con una presenza significativa nell’UE.

  1. Revisione indipendente

Il report di sostenibilità diventa un documento ufficiale, sul quale viene apposta una “firma” simile a quella del revisore contabile. Ciò implica la necessità di adottare procedure interne e controlli ben definiti.

  1. Standard di rendicontazione unici e strutturati

Con gli ESRS, la Commissione Europea punta a rendere i dati di sostenibilità chiari, comparabili e confrontabili a livello internazionale. Saranno richieste informazioni su temi ambientali (clima, risorse idriche, economia circolare, biodiversità), sociali (condizioni di lavoro, diritti umani, impatti sulle comunità) e di governance (condotta aziendale). Avremo quindi un linguaggio comune con cui confrontare e definire risultati e obiettivi.

  1. Coinvolgimento della catena del valore

Le imprese soggette a CSRD dovranno dialogare con fornitori, subfornitori, clienti e stakeholder esterni, raccogliendo dati e stimolando comportamenti virtuosi. Diventa quindi strategico scegliere partner logistici in grado di fornire informazioni ESG aggiornate e trasparenti, in particolare per quanto riguarda i consumi energetici, le emissioni di GHG, gli impatti su inquinanti, sulle risorse idriche e sugli ecosistemi.

Chi è soggetto alla CSRD (secondo quanto pubblicato in gazzetta ufficiale)?

Dal 1° gennaio 2024 (con pubblicazione nel 2025): aziende già soggette a NFRD.

Dal 1° gennaio 2025 (con pubblicazione nel 2026): grandi imprese che soddisfano almeno due di questi requisiti:

  • più di 250 dipendenti,
  • fatturato > 50 milioni di euro,
  • totale di bilancio > 25 milioni di euro.
  • Dal 1° gennaio 2026 (con pubblicazione nel 2027): PMI quotate e enti creditizi di piccole dimensioni.
  • Dal 1° gennaio 2028 (con pubblicazione nel 2029): società non appartenenti all’UE con filiali o succursali nell’UE che realizzino un fatturato consolidato > 150 milioni di euro all’interno dell’UE.

In concreto, se prima la sostenibilità era una scelta strategica di posizionamento soprattutto per grandi gruppi, oggi diventa una responsabilità condivisa da migliaia di aziende in diversi settori, compreso quello logistico.

(Con il decreto Omnibus alcuni parametri potrebbero essere rivisti nel corso del 2025)

L’effetto a cascata sulle aziende non soggette

È facile immaginare come la CSRD coinvolgerà, indirettamente, anche molte imprese non obbligate dalla legge a pubblicare un report di sostenibilità. Se, per esempio, un trasportatore lavora con un grande gruppo soggetto alla CSRD, dovrà comunque fornire i dati relativi alle emissioni di GHG, alle modalità di trasporto e così via. Questo porterà molte realtà a strutturarsi internamente per poter rispondere prontamente a tali richieste, adattando i propri processi e avviando un circolo virtuoso di miglioramento continuo.

Benefici e opportunità per il settore logistico

Benché gli oneri di compliance (rendicontazione) possano apparire notevoli, si prospettano anche grandi opportunità per chi opera nella logistica:

  • Differenziazione competitiva: un fornitore in grado di garantire trasporti a basso impatto ambientale può diventare molto appetibile per le aziende soggette a CSRD.
  • Innovazione tecnologica: l’obbligo di tracciabilità delle emissioni e di gestione integrata dei dati può spingere a investire in piattaforme digitali, sensori IoT e sistemi di analisi predittiva.
  • Maggiore resilienza: una catena di fornitura trasparente e tracciabile è in grado di reagire più rapidamente a eventuali shock (normativi, climatici o di mercato).
  • Gestione del rischio: una attività misurata sul fronte degli impatti può analizzare rischi e opportunità per creare valore nel lungo periodo e può diventare più attrrattiva sul fronte dell’equity (sia per operazioni di M&A e sia per passaggi generazionali che nel settore sono sempre complessi e non facili da realizzare).

Come prepararsi al meglio

  • Formazione interna: coinvolgere il personale in percorsi di crescita e aggiornamento sui temi ESG, in modo da creare un linguaggio comune con altre funzioni aziendali (come il CFO e il Sustainability Manager).
  • Piattaforme digitali: dotarsi di sistemi capaci di tracciare i principali indicatori ESG (emissioni di GHG, consumi energetici, rifiuti, sicurezza sul lavoro ecc.) e di restituirli in report affidabili.
  • Collaborazione lungo la catena del valore: dialogare con fornitori e partner per definire obiettivi condivisi, procedure di raccolta dati e metodologie di calcolo standard.
  • Comunicazione trasparente: valorizzare gli sforzi fatti senza indulgere in pratiche di greenwashing, mantenendo un approccio chiaro e puntuale verso clienti, investitori e stakeholder.

Conclusioni

La CSRD ha il merito di aver portato alla ribalta il tema della sostenibilità, integrandolo negli aspetti operativi e strategici delle imprese finanche collegandolo in manera chiara alla rendicontazione civilistica (relazione di gestione del bilancio). Per la logistica, questo significa passare dall’essere un semplice “servizio di trasporto” a un anello essenziale nella catena della sostenibilità e quindi della catena del valore.

Le aziende che sapranno muoversi in anticipo, investendo in competenze, regole di condotta aziendale, tecnologie e processi condivisi con l’intera supply chain, avranno la possibilità di trasformare un obbligo normativo in una leva di competitività. Non si tratta più solo di “ridurre i costi” o “essere più efficienti”, ma di costruire un futuro in cui la sostenibilità diventa la regola, anziché l’eccezione.